L'Alchimista di Paulo Coelho

     L'Alchimista prese un libro, portato da qualcuno della carovana. Il volume era privo di copertina, ma lui riuscì a identificarne l'autore: Oscar Wilde. 


Mentre sfogliava le pagine trovò una storia su Narciso.



     L’Alchimista conosceva la leggenda di Narciso, un bel giovane che tutti i giorni andava a contemplare la propria bellezza in un lago. Era talmente affascinato da se stesso che un giorno scivolò e morì annegato. Nel punto in cui cadde nacque un fiore, che fu chiamato narciso.

Ma non era così che Oscar Wilde concludeva la storia.

     Egli narrava invece che, quando Narciso morì, accorsero le Oreadi – le ninfe del bosco – e videro il lago trasformato da una pozza d’acqua dolce in una brocca di lacrime salate.
“Perché piangi?” domandarono le Oreadi.
“Piango per Narciso” disse il lago.
“Non ci stupisce che tu pianga per Narciso,” soggiunsero. “Infatti, mentre noi tutte lo abbiamo sempre rincorso per il bosco, tu eri l’unico ad avere la possibilità di contemplare da vicino la sua bellezza.”
“Ma Narciso era bello?” Domandò il lago.
“Chi altri meglio di te potrebbe saperlo?” risposero, sorprese, le Oreadi. “In fin dei conti era sulle tue sponde che Narciso si sporgeva tutti i giorni.”
Il lago rimase per un po’ in silenzio. Infine disse: “Io piango per Narciso, ma non mi ero mai accorto che fosse bello. Piango per Narciso perché, tutte le volte che lui si sdraiava sulle mie sponde, io potevo vedere riflessa nel fondo dei suoi occhi la mia bellezza.”
“Che bella storia,” disse l’Alchimista.

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     Il ragazzo si chiamava Santiago. Stava cominciando a imbrunire quando giunse con il suo gregge davanti a una vecchia chiesa abbandonata. Il tetto era crollato da tempo e un enorme sicomoro era cresciuto nel luogo dove una volta sorgeva la sacrestia.
Decise di trascorrere la notte in quel luogo. Fece entrare tutte le pecore dalla porta in rovina e poi dispose alcune tavole di legno perché non potessero fuggire durante la notte. Non c’erano lupi in quella zona, ma una volta un animale era scappato e c’era voluta un’intera giornata perché lo ritrovasse.
Mise per terra la giacca e si sdraiò, usando come guanciale il libro che aveva appena finito di leggere. Prima di addormentarsi, pensò che doveva cominciare a leggere libri un po’ più voluminosi: ci sarebbe voluto più tempo a finirli ed erano guanciali più comodi per la notte.
Era ancora buio quando si svegliò. Guardò in alto e, attraverso il soffitto semidistrutto, intravide le stelle che brillavano.
“Vorrei dormire ancora un po’,” pensò. Aveva fatto lo stesso sogno della settimana precedente e, di nuovo, si era svegliato prima della sua conclusione.
Si alzò e bevve un sorso di vino. Poi afferrò il bastone e cominciò a svegliare le pecore che ancora dormivano. Aveva notato che, appena si destava lui, anche la maggior parte delle bestie cominciava a svegliarsi. Come se vi fosse una misteriosa eneergia che univa la sua vita a quella delle pecore che da due anni percorrevano insieme con lui la regione, in cerca di cibo e di acqua. “Ormai si sono tanto abituate a me che conoscono i miei orari,” mormorò sottovoce. Poi, riflettendo, pensò che poteva essere anche il contrario: forse era lui che si era abituato all’orario delle pecore.
Ce n’erano alcune, però, che impiegavano un po’ più di tempo per muoversi. Il ragazzo le risvegliò a una a una con il suo bastone, chiamandole per nome. Era convinto che le pecore fossero in grado di capire ciò che lui diceva: perciò ogni tanto usava leggere loro i brani di qui libri che lo avevano colpito, o parlar loro della solitudine e della gioia di un pastore in mezzo alla campagna, oppure commentare le ultime novità che osservava nelle città per cui soleva passare.
Negli ultimi giorni, tuttavia, il suo argomento era stato praticamente uno solo: la giovinetta, figlia del commerciante, che viveva nella città dove sarebbe giunto di lì a quattro giorni. C’era già stato solo una volta, l’anno precedente. Il commerciante, che possedeva una bottega di tessuti, gradiva sempre che le pecore fossero tosate davanti ai suoi occhi, per evitare imbrogli. Un amico gli aveva indicato quella bottega, e il pastore vi aveva portato le sue pecore.
“Ho bisogno di vendere un po’ di lana,” aveva detto al commerciante.
Il negozio era pieno e l’uomo gli aveva chiesto di aspettare fino all’imbrunire. Lui, allora, si era seduto lì davanti sul marciapiede e aveva tirato fuori dalla bisaccia un libro.
“Non pensavo che i pastori sapessero leggere,” aveva detto allora una voce femminile accanto a lui.
Era una ragazza tipica della regione andalusa, con i lunghi capelli neri e gli occhi che ricordavano vagamente gli antichi conquistatori mori.
“Perché le pecore insegnano più dei libri,” aveva risposto il ragazzo. Si erano trattenuti a parlare per più di due ore. Lei gli aveva detto di essere la figlia del commerciante, parlandogli poi della vita nel paese, dove ogni giorno era uguale all’altro. Il pastore le aveva raccontato delle campagne dell’Andalusia, delle ultime novità che aveva notato nelle città dove era passato. Era contento perché, per una volta, poteva parlare con qualcuno, a parte le pecore.
“Come hai imparato a leggere?” gli aveva domandato la ragazzo ad un certo punto.
“Come tutti gli altri,” aveva risposto lui. “A scuola.”
“E allora, se sai leggere, perché sei soltanto un pastore?”
Il ragazzo aveva accennato una scusa qualunque per non rispondere a quella domanda: lei, certo, non avrebbe potuto capirlo. Aveva continuato a raccontare le sue storie di viaggi, mentre quegli occhietti mori si aprivano e si chiudevano per la meraviglia e la sorpresa. Via via che il tempo passava, il ragazzo aveva cominciato a desiderare che quel giorno non avesse mai fine, che il padre di lei fosse occupato ancora per lungo tempo e lo facesse attendere tre giorni. Si era reso conto che stava provando qualcosa che non aveva mai sentito prima di allora: il desiderio di fermarsi per sempre in una città. Con quella giovinetta dai capelli neri, i giorni non sarebbero stati mai uguali.
Ma infine il commerciante era arrivato e gli aveva detto di tosare quattro pecore. Poi gli aveva pagato il denaro dovuto e chiesto di tornare l’anno dopo.
Ora mancavano solo quattro giorni perché facesse ritorno a quel villaggio. Era eccitato e, al tempo stesso, insicuro: forse la giovinetta lo aveva dimenticato. Da quelle parti passavano tanti pastori a vendere la lana.
“Non ha importanza,” disse il ragazzo alle pecore. “Anch’io conosco altre giovani in altre città.”
Ma, in fondo al cuore, sentiva invece che quello era importante. Perché anche i pastori, come i marinai o come i commessi viaggiatori, sanno che c’è sempre una città dove esiste qualcuno capace di far loro dimenticare la gioia di vagare liberamente per il loro mondo.


 
Il giorno cominciò a rischiararsi e il pastore guidò le pecore in direzione del sole. “Loro non hanno mai bisogno di prendere alcuna decisione,” pensò. “Ecco perché, forse, rimangono sempre con me.” L’unica necessità che le pecore sentivano era di un po’ di acqua e di un po’ di cibo. Fino a quando il ragazzo avesse conosciuto i pascoli migliori dell’Andalusia, le pecore gli sarebbero state sempre amiche. Anche se i giorni erano tutti uguali, fatti di lunghe ore che si trascinavano fra il sorgere e il tramontare del sole. E tutto ciò anche se non avevano mai letto un solo libro nelle loro brevi vite, e non conoscevano la lingua degli uomini che portava le novità nei paesi. Si accontentavano di acqua e cibo, e ciò bastava. In cambio, offrivano generosamente la loro lana, la loro compagnia e, di tanto in tanto, la loro carne.

“Se oggi diventassi un mostro e decidessi di ammazzarle una dopo l’altra, lo capirebbero soltanto dopo che fosse stato sterminato quasi tutto il gregge,” pensò il ragazzo. “Perché si fidano di me, mentre non si fidano più del loro istinto. Solo perché io le conduco al nutrimento e all’acqua.”

Il ragazzo cominciò a stupirsi di quei pensieri. Forse la chiesa, con quel sicomoro che vi cresceva all’interno, era frequentata da fantasmi. Aveva fatto si che un sogno si ripetesse per la seconda volta, e adesso gli stava suscitando una sensazione di rabbia contro le sue compagne, sempre tanto fedeli. Bevve un po’ di vino, che gli era avanzato dalla cena della sera precedente, e si strinse nella giacca. Sapeva bene, lui, come di lì a qualche ora, con il sole a picco, il caldo sarebbe stato così intenso da impedirgli di condurre le pecore nei campi. Sarebbe stata l’ora in cui tutta la Spagna dormiva, in estate: il caldo durava fino alla sera. E per tutta la giornata lui avrebbe dovuto portarsi dietro la giacca. Eppure, ogniqualvolta pensava di lamentarsi per quel peso, si rammentava che proprio quello gli aveva impedito di sentire freddo al mattino.

“Dobbiamo essere sempre preparati alle sorprese del tempo,” pensava allora, e provava un sentimento di gratitudine per il peso della giacca.

La giacca aveva un suo motivo, proprio come il ragazzo. Dopo due anni trascorsi fra le pianure dell’Andalusia, egli ormai conosceva a memoria tutte le città della regione, e questa era la sua grande ragione di vita: viaggiare. Stava pensando che, questa volta, avrebbe spiegato alla giovane il motivo per cui un semplice pastore sapeva leggere: fino a sedici anni era stato in seminario. I suoi genitori, infatti, volevano che divenisse prete e costituisse motivo di orgoglio per una modesta contadina che lavorava solo per sfamarsi e dissetarsi, come le pecore. Aveva studiato latino, spagnolo e teologia. Ma, fin da bambino, sognava di conoscere il mondo, e questo era ben più importante che non conoscere Dio o i peccati degli uomini. Un pomeriggio, in visita alla famiglia, aveva trovato il coraggio di annunciare al padre la propria intenzione di non fare  più il prete. Perché voleva viaggiare.
"Per questo villaggio sono già passati uomini provenienti da ogni parte del mondo, figliuolo mio" gli aveva risposto il padre. "Vengono in cerca di cose nuove, ma le persone sono sempre uguali. Si spingono fino alla collina per vedere il castello e credono che il passato sia stato migliore del presente. Hanno capelli biondi o pelle scura, ma sono uguali agli uomini del nostro villaggio."
"Ma io non conosco i castelli delle terre da cui loro vengono," aveva ribattuto il ragazzo.
"Questi uomini, quando conoscono i nostri campi e le nostre donne, dicono che vorrebbero vivere qui per sempre," aveva proseguito il padre.
"Voglio conoscere le donne e le terre da cui sono venuti quegli uomini," aveva insistito il ragazzo. "Perchè loro, poi, non si fermano mai qui."
"Quegli uomini hanno le borse piene di denaro," aveva aggiunto una volta il padre. "Fra di noi, soltanto i pastori viaggiano."
"Allora farò il pastore."
Il padre non aveva detto altro. Il giorno dopo gli aveva consegnato una borsa con tre antiche monete d'oro spagnole.
"Un giorno le ho trovate in un campo: erano destinate alla Chiesa, come tua dote. Compra il tuo gregge e vai per il mondo fino a quando non imparerai che il nostro castello è il più importante e le nostre donne sono le più belle."
E gli aveva dato la sua benedizione. Anche negli occhi del padre il ragazzo aveva letto quel desiderio di andare per il mondo: un desiderio ancora vivo, malgrado l'uomo avesse tentato di seppellirlo per decide di anni con acqua, cibo, e con un luogo sempre uguale dove trascorrere tutta la notte.





L'Alchimista

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